Sua Maestà il cannolo - Museo etnografico Nunzio Bruno

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Sua Maestà il cannolo

Folklore e Tradizioni
Il cannolo è diventato il simbolo della pasticceria siciliana insieme alla cassata. Ma perchè nasce il cannolo?


Definizione da vocabolario: Cannolo: cilindro di canna (Arundo donax, canna comune che cresce in luoghi umidi o paludosi).

Usata dai contadini per fare infiniti manufatti per uso comune dai panara e cufina (contenitori), cavagne (trasporto ricotta), cannizzi = silos per contenere il frumento per l’annata, copertura per il tetto (sottocoppo), e non si finirebbe ad elencare utilizzi della canna. Nel Dizionario di Michele del Bono: Dizionario Siciliano-Italiano-Latino, Palermo 1751, si legge testualmente: «Cannola: capelli arricciati, ricci, cincinni [per pasta dilicatissima lavorata a foggia di cannello, pieni di bianco mangiare. Tubus farinarius dulcissimo edulio ex lacte fartus]», si nota chiaramente come il lemma in siciliano corrisponde alla definizione in lingua italiana e quindi in lingua latina.

In cucina il cilindro fra due nodi di circa 4 cm. di diametro e 15 a 18 di lunghezza è stato utilizzato per la creazione della cialda del cannolo. Da quando le regole igieniche, a volte esagerate, obbligano adesso l’utilizzo del cilindro d’acciaio.

Il termine cannolo deriva quindi dal supporto di canna attorno al quale veniva avvolta la pasta dolce della cialda, e dopo essere stata fritta, viene riempita di ricotta. Ed è proprio l’evoluzione dell’antica canna che oggi costituisce uno dei più preziosi tesori della cucina siciliana, ovvero il cilindro metallico che serve per friggere la “scorza”.

Viene da chiedersi che dimensione avrà avuto il cilindro con cui è stata preparata la cialda del cannolo più lungo del mondo? Ecco i numeri 4,84 metri, 180 kg di ricotta, 8 kg di canditi e altrettanti di cioccolato. A realizzarlo sono stati, i pasticceri di Piana degli albanesi: ci hanno lavorato in 12, per ben sei giorni, usando una friggitrice lunga 5 metri, e 80 litri di olio.  Per la gioia dei golosi che sono accorsi in occasione della sagra.

La descrizione che il Duca Alberto Denti di Pirajno nel suo libro Siciliani a tavola scrive: “Tubus farinarius dulcissimo edulio ex lacte fartus” “un tubo farinaceo ripieno di latte per un dolcissimo cibo” citando Marco Tullio Cicerone, all’epoca nel 70 a.C. il quale era questore in Sicilia, che conobbe e apprezzò un dolce molto simile al cannolo odierno.

Più recente è la leggenda secondo la quale i cannoli troverebbero origine nella città di Caltanissetta, che durante la dominazione araba in Sicilia, avvenuta tra l’827 e il 1091, era sede di numerosi harem degli emiri saraceni; infatti, “Kalt El Nissa” in arabo significa “castello delle donne”. Le favorite dell’emiro erano dedite alla preparazione di prelibate pietanze, in particolare dolci, e in uno dei tanti esperimenti culinari, si suppone che abbiano inventato il cannolo, per imitare forse un dolce arabo, simile per forma a una banana, ripieno di ricotta, mandorle, e miele.

In seguito con l’arrivo in Sicilia dei Normanni e la relativa fine della dominazione araba, gli harem si svuotarono e alcune donne ormai liberate, si convertirono al Cristianesimo e ritirandosi nei conventi di clausura, si portarono dietro quelle ricette con cui avevano sedotto le corti degli emiri, trasmettendole in seguito alle suore.

Questa versione della leggenda spiegherebbe anche perché il Cannolo nella cultura siciliana è sempre stato considerato un simbolo fallico. Non è da escludere che, come spesso succede, la verità stia nel mezzo: è possibile, infatti, che a seguito della fine della dominazione araba, quando gli harem scomparvero, qualcuna delle donne che vi abitavano si sia rifugiata in un monastero, portando con sé la ricetta e insegnandola alle consorelle. Quello del Cannolo, potrebbe essere quindi un altro caso di una trasmigrazione culinaria dal mondo saraceno a quello cristiano.

Pino Correnti, nel suo “Libro d’oro della cucina e dei vini della Sicilia” riportando la frase latina sopracitata dal De Bono, suggerirebbe solamente il fatto che la definizione è stata diffusa per secoli in una descrizione del cannolo in lingua latina. Sostiene, inoltre, che il cannolo sarebbe stato inventato dalle abili mani delle suore di clausura di un convento nei pressi di Caltanissetta, partendo da un’antica ricetta romana poi elaborata dagli Arabi. In base a questa diffusa tradizione esso deve il proprio nome a uno scherzo carnevalesco che consisteva nel far fuoriuscire dal cannolo la crema di ricotta al posto dell’acqua, il termine cannolo in dialetto indica una sorta di rubinetto (a funtana dè centu cannola). Il dolce nato a Caltanissetta, deve gran parte della sua notorietà e diffusione planetaria ai pasticceri siciliani, che hanno contribuito a stabilizzarne la ricetta, pur con piccole varianti locali così come la conosciamo oggi.

Dai normanni in poi il cannolo si diffonde come dolce conclusivo del pasto di carnevale e data la evidente forma fallica il successo è continuato fino ai giorni nostri, Giuseppe Pitrè lo cita: “Ma più gradito di qualunque altro cibo carnevalesco è il cannòlu, boccone ghiotto di popolani, di borghesi e di nobili, desiderato dai poveri e ricchi. Il cannolo è un cialdone pieno, una pasta dolciastra, fritta e tenerissima, accartocciata a forma di grosso cannello o bocciuolo, che si riempie di una squisita crema di latte, zucchero o giulebbe, cioccolata, pistacchio ed altri simili ingredienti.

Senza il cannolo, che cosa è il banchetto carnevalesco, se non un mangiare senza bere, un murare a secco, lo stare al buio in una conversazione? Penetrato di questa necessità, un verseggiatore del secolo passato cantava:

A favore dè cannoli di Carnevale:

“Beddi cannola di carnalivari,
megghiu vuccuna a lu munnu ‘nci nnè
su biniditti spisi i dinari,
ogni cannolu è scettru di Rrè,
arrivunu li donni a disiari
u cannolu ca è la virga i Mosè
cu nun’ nni mancia si fazza a mazzari,
cu li disprezza curnutu iddu è.

Il Pitrè annota che il cannolo “è l’ultima portata è la corona del pranzo carnevalesco, e a tutt’oggi, come allora, “i cannola si trovano in vendita presso dolcieri tutti, e si mandano il regalo ad amici e parenti in grandi piatti da 12, 24, da 30 e più. Ma vengono anche preparati in casa, dove di solito, per avvolgere la sfoglia che verrà poi riempita di ricotta o cioccolato o crema, si adopera un rocchetto di canna senza nodi, mentre dolcerie si servono di solito di rocchetti di lamiera eseguiti di proposito dagli stagnini.

Anche quando non c’è l’indispensabile ricotta, lavorata con lo zucchero e un pizzico di sale, si possono ottenere egualmente degli ottimi cannoli, riempendo le “spoglie”, ottenute da una speciale pasta che diviene croccante dopo di essere stata fritta e avvolta in appositi cannelli, da cui il nome.

La ricetta originale, però, vuole la ricotta, arricchita di frutta candita a pezzetti e pistacchio. Il segreto per ottenere un buon cannolo è di riempire al momento, affinché l’involucro rimanga croccante.

La pasta per preparare gli involucri si ottiene preparando una fontana di farina doppio zero con una buona pizzicata di lievito, un cucchiaio di polvere di caffè tostato, burro e vino generoso (e nessuno lo è più di un buon Marsala). Ottenuto l’impasto, lo si lascia riposare per un’ora.

Nel frattempo, va allestito il ripieno, passando la ricotta al setaccio, aggiungendo in proporzione 1/3 di zucchero a velo e una bella sgocciolata di liquore dolce a forte gradazione. Bisognerà mescolare finché la crema ottenuta risulti ben omogenea. A questo punto si possono aggiungere piccoli pezzetti di zucca candita, il ben noto candito palermitano, pistacchio, e anche pezzetti di cioccolato. Giunti a questo punto, per dare due gusti diversi ai due lati del cannolo: nella prima si aggiungerà la vaniglia in polvere, nella seconda cioccolato. In tutte e due le parti avremo sempre i cubetti di zuccata candita e, per finire, una decorazione che adesso andremo a vedere.

Adesso che la pasta degli involucri è ben riposata, cominceremo a distenderla col matterello e nel ricaveremo una sfoglia non molto sottile, di cui, con l’apposito stampo, oppure con l’orlo di un grosso bicchiere rovesciato, staccheremo dischi di circa 10 cm di diametro per avvolgere i cannelli unti di sugna. Avremo l’avvertenza di cospargere di albume d’uovo i due lembi di pasta del dischetto, così verranno sovrapposti e saldarsi inseparabilmente durante la frittura in abbondante sugna. Mentre galleggiano, controlleremo la cottura, che sarà perfetta quando anche la parte interna del cannolo, quella che poggia sul cannello, avrà lo stesso per colore dorato della crosta. Freddi e asciutti gli involucri vanno separati dai cannelli e sono così pronti a ricevere la ricotta dolcificata o le due creme. Guarniremo con mezza ciliegia candita, un lato e sull’altro, una sottile scorzetta d’arancia candita e in tutte e due i lati pezzettini di pistacchio tritato o/e mandorla tritata.

Mario Lonero
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