Tradizioni
Folklore e Tradizioni
VOSCENZA BENERICA
Ricordando il mio primo incontro con Nunzio, quando di domenica dalle 12.30 alle 14.00, da “Radio Amica” 93.700 MHz da Floridia immancabilmente partiva il programma “Voscenza Benerica”. Era un tributo alla Sicilia, alla sicilianità, dettato dal cuore di un innamorato che ama la sua Sicilia sopra ogni cosa. In un’intervista fatta da Mirella Parisini che gli chiede l’espressione d’amore più bella che potesse dire alla propria terra, Lui rispose “Sciatu miu”. L’unica cosa che un uomo non può fare a meno è l’aria per respirare questa era la Sicilia per Nunzio.
Mi chiedo cosa significa “Voscenza Benerica”, per la lingua Siciliana.
Partiamo con “Sabbenerica” viene rivolto come saluto reverenziale a persona anziana e di rispetto, ma è molto di più, usata come formula di benvenuto anche come congedo.
Chi riceve questo saluto spesso risponde “Sabbinirica a Vossia”.
Esistono in Sicilia diverse varianti Assabinirica, o Sabbinidica il significato è “Ca lu Signuri t’abbinirici” (Che Dio ti benedica). Si tratta del saluto più solenne e rispettoso che si trova nell’uso popolare.
Si riscontrano alcune forme equivalenti: “Sabbenerica” (corretto – ‘sa benerica – per contrazione di vossia in “sa” (Vossia a sua volta derivante da “Vossignoria”), “Sabbinirica”, “Binirica”, “Benerica”, “Vo’scenza benerica”.
La genesi di questa espressione ha diverse ipotesi ma la più accreditata la si fa risalire al periodo di dominazione Mussulmana: “As-Salam alaikum wa rahmatu Llahi wa barakatuhu!” traducibile con “Su di voi la pace, la misericordia di Dio e la Sua benedizione” (in siciliano “A tìa l’abbentu dô Signuri, e ca iddu si pigghiassi cura di tia”).
Per le citazioni si ringrazia: https://www.siciliafan.it/
I sciuri i maju
(I fiori di maggio)
Una tradizione che accomunava Solarino e Floridia, nel tempo passato in eterna competizione e rivalità.
Era consuetudine il primo di maggio infiorare l’uscio di casa con delle margherite gialle, “i sciuri i maju”.
Il giorno prima tutti i ragazzi si recavano in campagna a raccogliere margherite gialle, e papaveri se erano presenti nel campo, poi a casa si aggiungevano dei petali di rosa, che non potevano mancare “’nna l’ortu”, e si dava incarico alla mamma o al papà, a seconda di chi si alzava per primo, di metterli nel marciapiede in corrispondenza dell’uscio di casa. Una volta, rimanevano fino al giorno successivo, adesso, nel raro caso che il rito venga ripetuto, rimangono massimo fino a mezzogiorno. Per i ragazzi, maschi e femmine, era un’occasione per giocare in strada tutti insieme per realizzare collane con le margherite più grosse, le signorinelle provavano il classico "mama non mama". Cosa rappresentava questo tappeto di margherite proprio il primo di maggio? La risposta ci viene data dagli anziani che raccontano che quest’usanza serviva “pì buon’auguriu”, retaggio contadino, di quando il futuro dipendeva dai capricci del tempo. Nell’antica Roma, tra il 28 aprile e il 3 di maggio, si celebravano “le floralia”, festività il onore della dea Flora, che aveva la facoltà di salvaguardare lo sviluppo delle piante e garantire un buon raccolto. Per il paese che porta il nome della dea, FLORIDIA questo retaggio non dovrebbe passare inosservato, o nel dimenticatoio. Altra interpretazione può essere quella in cui, in alcune zone, la notte fra il 30 aprile e il primo maggio, si celebravano dei sabba. Le streghe del circondario si riunivano sotto un noce per i loro balli, e al mattino per il rientro potevano entrare nelle case o stalle, e per dispetto creare malefìci agli animali o alle persone. Per distrarle, i fiori erano un mezzo, che attirava l’attenzione, e vista la curiosità proverbiale, le streghe si mettevano a contare il numero dei petali, e così facendo arrivava l’alba e diventavano innocue.
Mario lonero
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MAGGIO DONNA E MAMMA
Il mese di maggio è il mese dedicato alla donna e in particolar modo alla mamma. Il mistero della generazione era giustificato da molti riti e miti legati alla fertilità. Per questo la terra era intesa come “madre” perché capace di generare frutti che avrebbero permesso all’uomo di sopravvivere. Il rapporto terra-cibo col tempo si è deteriorato, tanto che noi, avendo disponibilità di alimenti in ogni stagione dell’anno, non facciamo più caso al fatto che un frutto sia o no di stagione.
Questo rapporto, con il passare dei secoli, si è fatto sempre meno saldo e la simbiosi uomo-natura ultimamente sembra essersi definitivamente spezzata. Il recupero del rapporto con la terra ci riporta all’uomo primitivo che, abbandonata la caccia e la pastorizia, professioni che lo volevano nomade, si cimentò nella coltura del terreno, traendo da esso sufficiente sostentamento. Il periodo storico in cui tutto questo successe è databile al Neolitico, quando l’uomo non aveva ancora definitivamente lasciato la caccia e la raccolta per l’agricoltura. Anzi, chi si occupava dell’agricoltura, erano prevalentemente le donne che, lasciate a casa, si occupavano di lavorare la terra strappando ogni giorno i segreti alla natura.
Col Neolitico, la struttura sociale era retta dal matriarcato poiché erano le donne che intessevano rapporti sociali stabili sul loro territorio e quindi all’interno del clan. Questo avveniva perché gli uomini si allontanavano dal villaggio per cacciare o per cercare pascoli più generosi. La donna, e quindi la mamma, si identificava facilmente con la Terra poiché con essa aveva in comune la possibilità di procreare. Secondo alcune teorie il patriarcato si è instaurato con l’introduzione dell’aratro che ha consentito di portare a frutto una estensione di terreno maggiore. Abbandonata la caccia e stanziata la pastorizia, l’uomo subentrò alla donna e la sua brama di possesso lo portò dapprima a concepire l’aratro e successivamente ad inventare la guerra per ragioni di confine e di possesso.
Se le donne avessero più possibilità di intervenire sulle questioni etiche e pratiche della città, il bene comune sarebbe davvero bene di tutti e per tutti.